La prima impressione è che la Corte Costituzionale, con la sentenza 30 del 2014, abbia emesso un provvedimento sostanzialmente politico. Pure avendo preso consapevolezza dei limiti della Lex Pinto, il Giudice delle Leggi ha concesso un "aiutino" al Legislatore, facendo perno su una decisione-stampella della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.Di positivo c'è un pressing ufficiale ed all'orizzonte , una "Pinto" migliorata .
Tutto è iniziato con la richiesta di una lavoratrice di inserimento al passivo di un fallimento, avanzata nel 1997.
Dopo 16 anni la procedura concorsuale non si era ancora conclusa e tuttavia , la lavoratrice presentava istanza di risarcimento per irragionevole durata del procedimento.
Il difensore della lavoratrice, eccepiva che attendere la definizione di un procedimento prima di poter avanzare l'istanza ex Legge Pinto , si poneva in contrasto con la Carta Costituzionale.
La Corte d'Appello di Bari, con ordinanza del 18 marzo 2013, in particolare sollevava la questione di legittimità costituzionale dell’art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134, in riferimento agli artt. 3, 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848.
La Corte Costituzionale ha in primis stabilito che l'attuale previsione normativa " precluda la proposizione della domanda di equa riparazione in pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione della ragionevole durata si assume essersi verificata".
Successivamente il Giudice delle Leggi, ammette , che in questa accezione interpretativa la Legge Pinto " il rimedio interno, come attualmente disciplinato dalla legge Pinto, risulta carente. La Corte EDU, infatti, ha ritenuto che il differimento dell’esperibilità del ricorso alla definizione del procedimento in cui il ritardo è maturato ne pregiudichi l’effettività e lo renda incompatibile con i requisiti al riguardo richiesti dalla Convenzione (sentenza 21 luglio 2009, Lesjak contro Slovenia)".
La Corte Costituzionale tuttavia si appoggia ad un recente arresto della CEDU che ha riconosciuto che «Quando uno Stato ha compiuto un passo significativo introducendo un rimedio risarcitorio, la Corte deve lasciare allo Stato un margine di valutazione più ampio per consentirgli di organizzare il rimedio in un modo coerente con il proprio ordinamento giuridico ".
In conclusione il vulnus c'è e tuttavia il Legislatore italiano merita di un tempo di " riparazione" al fine di superare l'empasse e rendere effettiva la tutela.
La sentenza si conclude con un avvertimento al Parlamento : " (..) non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine al problema individuato nella presente pronuncia (sentenza n. 279 del 2013).
Per l'agenda di Matteo Renzi si pone quindi un altro punto all'ordine del giorno .