domenica 27 aprile 2014

Divorzio breve, è già una realtà

Ci sono casi in cui la condizione di straniero può risultare vantaggiosa. È quanto accade, ad esempio, a quelle coppie di coniugi, cosiddette “miste”, che vogliono ottenere il divorzio in Italia senza attendere i fatidici tre anni di separazione.

Per i cittadini italiani, infatti, le cose sono un po’ più complicate visto che, per quanto sembri ormai spianata la strada per ottenere il cosiddetto divorzio breve anche nel nostro Paese, tuttavia esso non è ancora legge.

Per questo motivo è diffuso ormai da tempo il fenomeno del cosiddetto “turismo divorzile”, attraverso cui molti italiani scelgono di recarsi (e mettere la temporanea residenza) in un Paese dell’Unione Europea [1] (il più gettonato è la Romania) per ottenere, in tempi brevi, lo scioglimento del loro matrimonio.

Non per tutti, però, le cose stanno in questi termini: vi sono, infatti, dei soggetti per i quali tale prassi può essere evitata grazie all’applicabilità anche in Italia di un regolamento UE [2].

Chi può richiedere l’applicazione del regolamento?
Il regolamento in questione riguarda la separazione e il divorzio delle cosiddette coppie miste, ossia di quei cittadini di cui almeno uno abbia la cittadinanza o la residenza in uno dei 14 Stati membri (cioè aderente al predetto regolamento [3]), tra cui c’è anche l’Italia.

Quale legge è applicabile al divorzio?
Le coppie miste possono ottenere, anche nel nostro Paese, il divorzio breve chiedendo al giudice italiano di pronunciarsi sulla base della legislazione straniera di uno dei coniugi, più favorevole al loro caso.

Tale facoltà è concessa, tra l’altro, non solo alle coppie appartenenti a Paesi firmatari del Regolamento (ad esempio un italiano e una spagnola), ma anche a quelle in cui entrambi siano cittadini di Paesi extracomunitari: è sufficiente che abbiano residenza in uno degli Stati membri [4] (ad esempio due Equadoregni con residenza in Italia [5]).

In particolare, i coniugi potranno chiedere che il Tribunale pronunci il divorzio in base a:
- la legge dello Stato in cui abbiano la residenza abituale al momento della conclusione dell’accordo;
- la legge dello Stato dell’ultima residenza abituale;
- la legge dello Stato in cui uno dei due risieda ancora alla conclusione dell’accordo;
- la legge dello Stato di cittadinanza di uno di loro al momento della conclusione dell’accordo;
- la legge del medesimo Tribunale cui si sono rivolti.

In che modo va designata la legge che si vuole applicare
I coniugi devono indicare, in un preventivo accordo, la legge che vogliono sia applicata al loro caso (separazione o divorzio). Tale accordo potrà essere modificato o concluso al più tardi nel momento in cui ci si rivolge al giudice, ma – se consentito dalla legge del foro – potranno anche indicare la legge prescelta a procedimento già avviato (facoltà concessa dalla legge italiana) [6].

Un esempio
Per meglio comprendere il meccanismo alla base di questa normativa, si richiama, a titolo di esempio, una pronuncia del Tribunale di Treviso [7], riferita ad una coppia di coniugi di cui uno italiano e l’altra messicana.
Il Tribunale ha pronunciato il divorzio della coppia, senza la necessità del preventivo periodo di separazione, grazie all’applicazione del codice civile federale del Messico.
Pur non appartenendo, infatti, il Messico, agli Stati aderenti al regolamento, i coniugi avevano chiesto l’applicazione della legge messicana in quanto legge dello Stato di cittadinanza di uno di loro al momento della conclusione dell’accordo.

Limiti
Detto regolamento non trova applicazione in alcune importanti questioni di solito legate alla crisi coniugale.
In particolare, oltre a non poter essere applicato per i casi di annullamento del matrimonio, non riguarda le questioni patrimoniali tra coniugi (come l’assegno di mantenimento o il diritto agli alimenti) e quelle riguardanti la responsabilità genitoriale (perciò l’affidamento della prole).
Per queste specifiche questioni, perciò, il giudice deciderà sulla base della legislazione del Foro dello Stato al quale la coppia si sia rivolta (nel nostro caso quella italiana).


[1]  Il Regolamento UE n. 44/01 consente al Tribunale del Paese dell’UE di pronunciare una sentenza di divorzio in tempi brevi (se previsto dalla legge di quel Paese), quando anche uno dei coniugi sia residente in quello Stato da almeno sei mesi.
[2] Regolamento UE n. 1259/10, adottato il 20.12.10 e applicabile in Italia dal 21.6.2012 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale.
[3] Tale regolamento è applicabile anche in altri tredici Stati membri dell’Unione Europea (Austria, Belgio, Bulgaria, Francia, Germania, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Portogallo, Romania, Slovenia, Spagna, Ungheria).
[4] Le norme del regolamento si applicano “qualunque sia la legge richiamata”, quindi si applicano nei 14 Stati membri a tutte le separazioni e i divorzi che implichino conflitti di leggi, anche se collegati con Paesi membri non partecipanti o esterni all’Unione. Sostituiscono, pertanto, in modo integrale l’art. 31 della l. n. 218/1995, secondo cui: “La separazione personale e lo scioglimento del matrimonio sono regolati dalla legge nazionale comune dei coniugi al momento della domanda di separazione o di scioglimento del matrimonio; in mancanza si applica la legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale risulta prevalentemente localizzata”.
[5] Trib. Milano, ord. 11.12.12. Trib. Treviso, sent. n. 2063 del 18.12.12.
[6] Il Presidente del Tribunale, alla prima udienza dinanzi a sé, dovrà indicare alle parti, nell’ordinanza ex art. 709 cod. proc. civ, che la memoria integrativa o l’atto di costituzione contengono la manifestazione di volontà sulla legge che le parti vogliano sia applicata nel loro giudizio di separazione o divorzio.

Avvocato Maria Elena Casarano , Foro di Bari
( Tratto da www.laleggepertutti.it )

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mercoledì 16 aprile 2014

L'onorario-bonsai e l'ardua difesa dei non abbienti

* A cura dell'Avvocato Ciro Renino

L'ordinanza emessa dal Tribunale di Napoli, sottolinea l'inadeguatezza dell'ordinamento in tema di liquidazione delle spese dovute all'Avvocato che prova ad assumere la difesa di persone disagiate  e che hanno diritto al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.
Il punto di partenza è un procedimento di sfratto per finita locazione : il conduttore chiede ed ottiene il beneficio de quo.
A fine procedura il difensore fa notula per euro 1153.80 ( 815.00 + fiscalità). Nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 82 del DPR 115/2002, il difensore si mantiene basso , al di sotto dei valori medi .
Il Tribunale lo premia e gli liquida la considerevole somma di euro 300 .
Il difensore sgrana tanto d'occhi e propone l'opposizione prevista dagli articoli 84 e 170 del DPR , secondo il rito previsto dall'articolo 15 del D.lvo 150 del 1/9/11.
Viene istruito il processo di opposizione , vengono effettuate notifiche , un paio di udienze ed infine Giustizia è fatta , invece di euro 300 ( sic et sigh ) il Giudice, condanna il Ministero di cui è dipendente a pagare euro 407.50 : un clamoroso colpo di scena ! Ben 107.50 euro in più !
 Naturalmente per il procedimento di opposizione vengono compensate le spese, anche vive, sostenute al difensore .
Ora il provvedimento de quo ( l'ordinanza 11/4/14 , emessa a definizione del procedimento 11723/2012) è viziata poichè il Giudice non valuta che la nota spese già era stata realizzata con il dimezzamento previsto dall'articolo 130 del DPR 115/2002 e quindi , divide per due quanto già era stato diminuito.
Il risultato è un mini onorario che converte la difesa del procuratore in un'operazione in perdita.
Ma il problema non si pone tanto con riguardo alle minori entrate dell'Avvocato, quanto nei contraccolpi che operazioni di questo genere finiscono per infliggere ai cittadini che non possono pagarsi il difensore.
Sarà sempre più difficile per chi non ha mezzi trovare avvocati disposti ad assumere l'onere della difesa e comunque vi è il rischio che questa stessa possa essere proporzionata alle cifre che i Magistrati liquidano.